Piccoli fondi e piccoli uffici, piccoli computer e piccola fama. Tutta questa attrezzatura basta e avanza per creare grandi mondi, grazie a piccole grandi idee. Perché fu detto nei primi anni del ‘900 che less is more: il meno è più. Non parliamo di un trattato sull’architettura essenziale, ma semplicemente del fatto che senza troppi “inquinamenti” come sponsor e scadenze, la passione e la cura nei dettagli di piccole menti brillanti sono sfociate in grandi progetti.
Creatività senza limiti: i bedroom coders, o programmatori da cameretta
Quando si parla di costanza si può fare riferimento ad un giovane programmatore di nome Daisuke Amaya, nel web – e da poco sulla carta – conosciuto col nome di “Pixel”, un vero innamorato della propria creatura. Ne ha prodotti di giochini, ma il più famoso, il più frenetico, il più stiloso è quello che ha pubblicato liberamente nel 2004: Cave Story. Si è occupato interamente egli stesso dello sviluppo del gioco. La programmazione, la grafica e la musica sono il risultato combinato di un eccellente lavoro svolto nell’arco di cinque anni. Cave Story è un gioco difficile, ma difficilmente incline all’essere abbandonato. Tutti i personaggi e le ambientazioni sono talmente cool da spingere il giocatore a dire «va beh, se sbaglio qualcosa ci riprovo» con un mezzo sorriso sulle labbra. Ammettiamolo, in altri giochi è molto raro che succeda una cosa simile quando si perde una preziosissima vita in uno scontro a fuoco mentre si cerca di superare un trabocchetto con un salto che richiede una precisione millimetrica. Certe esclamazioni, che possono scappare in altri giochi, è meglio non riferirle per l’integrità morale di questa pagina. Cosa contribuisce a rendere allora così piacevole l’esperienza anche se la morte è sempre dietro l’angolo? La risonanza di Miyamoto qui è più viva che mai. Ambientazioni talmente fantasiose da richiederne per forza l’esplorazione approfondita, le animazioni veramente gradevoli alla vista e una musica elettrizzante. Oltre all’impatto visivo, già appagante di suo, è proprio la musica che resta memorabile. Si, quei motivetti frenetici ed elettronici difficilmente se ne andranno dalla testa e capiterà di fischiettarli nei momenti più impensati. L’attenzione nei dettagli è fenomenale. Daisuke stesso ammette di essersi ispirato a Metroid e Pitfall! richiamandone lo stile tutto pixel e piattaforme.
Pixel è un po’ l’araldo di quel movimento, se così si può dire, del game design indipendente, quello senza la supervisione di grandi aziende. La qualità è innegabile, tanto che si è attivata anche Nicalis, al lavoro sul remake di Cave Story, per portare questa piccola gemma anche ad una fetta di giocatori meno informata.
Programmatori da cameretta, da bar o da qualunque altra stanza che offra lo spazio necessario per un tavolino, due computer e due sedie sono i 2D Boy: Kyle Gabler e Ron Carmel. Quasi a sfidare le più grandi software house, i due ragazzi senza fisso ufficio hanno saputo realizzare un gioco incredibilmente originale e spaventosamente divertente. La semplicità di fondo in World of Goo è disarmante: sfruttando le leggi della fisica, bisogna costruire vere e proprie strutture usando delle pallette gommose chiamate Goo che, combinate fra loro, permettano ad altri Goo di attraversare il livello per poi essere letteralmente risucchiate da un tubo. Gli ostacoli possono essere profonde voragini da attraversare, altissimi speroni rocciosi da raggiungere, enormi cancelli da aprire. Tutti questi ostacoli si possono superare costruendo ponti, scale o percorsi combinando i Goo secondo la loro natura.
Interessatissimi alle risposte dei fan, forse perché sono loro stessi videogiocatori prima che sviluppatori, hanno fin da subito pubblicato su internet un diario di sviluppo, riempiendolo di tutto il materiale in lavorazione: da brevi interventi in cui illustrano nuove idee alle immagini work in progress (lavori in corso), tutto liberamente commentabile. Lo stesso Kyle Gabler, interrogato sul futuro della società ha risposto: «Per quanto riguarda nuovi giochi, non ne abbiamo idea. Nel frattempo leggeremo ogni singolo commento che ciascuno farà su World of Goo, ci penseremo un po’ su e impareremo.»
Inoltre Kyle Gabler insieme ad altri amici ha avviato ai tempi della scuola un progetto denominato Experimental Gameplay Project (progetto di sistemi di gioco sperimentali), con l’idea di realizzare moltissimi videogiochi, generalmente uno a settimana, per scoprire il maggior numero di nuove forme di gioco possibili. Ciascun gioco si basava su un tema come “la gravità”, “l’evoluzione” o “il gioco a cui giocherebbe tua mamma”. Proprio da uno di questi esperimenti, Tower of Goo (la Torre di Goo), è nata l’idea di base per il ben più ampio World of Goo (il Mondo di Goo).
Certe grandi idee nascono veramente sui banchi di scuola. Nove studenti universitari dei Paesi Bassi frequentanti corsi di Game Design si riunirono per dare luce al gioco deBlob, inizialmente non così profondo come lo è ora, ma già raggiunse un buon risultato, tanto da essere notato da THQ che ne acquistò i diritti e produsse il deBlob che è ora di cui parlo nel capitolo 3.5. La città di Utrecht, dove i ragazzi frequentarono i corsi, adottò inoltre il personaggio Blob come mascotte. Quegli stessi giovani, ora laureati, hanno aperto un loro studio di produzione, chiamato Ronimo Games e hanno pubblicato Swords & Soldiers, il loro primo titolo per Nintendo Wii. Swords & Soldiers è un gioco strategico dallo stile visivo molto simile ai cartoni animati, con personaggi molto ben caratterizzati. Diversamente da altri giochi dello stesso genere, l’ambientazione è tutta realizzata in due dimensioni e il mondo scorre letteralmente lungo lo schermo televisivo. Le fazioni in guerra sono i Vichinghi, gli Aztechi e i Cinesi, un accostamento mai visto prima, dal momento che finora i giochi strategici hanno presentato o estremo realismo, riproducendo reali conflitti storici, oppure una fantasia sfrenata. Qui si raggiunge un compromesso: tre popolazioni conosciute, ma esageratamente caratterizzate (tipo i Galli e i Romani nei fumetti di Asterix), inserite in un ambiente del tutto fantastico. La gestione delle risorse, dei poteri e dei personaggi coinvolti è immediata, grazie alle icone poste in cima allo schermo che ben illustrano le varie funzioni. Il tutto permette di scatenare una vera apocalisse, ma senza mai creare confusione. Può sembrare difficile crederlo ma è così.
Questi sono solo alcuni esempi che riguardano la storia recente della creatività indipendente, ma se ne potrebbero proporre ancora tantissimi, forse di persone che stanno emergendo proprio in questo momento, chissà.
Certe grandi idee nascono veramente sui banchi di scuola. Nove studenti universitari dei Paesi Bassi frequentanti corsi di Game Design si riunirono per dare luce al gioco deBlob, inizialmente non così profondo come lo è ora, ma già raggiunse un buon risultato, tanto da essere notato da THQ che ne acquistò i diritti e produsse il deBlob che è ora di cui parlo nel capitolo 3.5. La città di Utrecht, dove i ragazzi frequentarono i corsi, adottò inoltre il personaggio Blob come mascotte. Quegli stessi giovani, ora laureati, hanno aperto un loro studio di produzione, chiamato Ronimo Games e hanno pubblicato Swords & Soldiers, il loro primo titolo per Nintendo Wii. Swords & Soldiers è un gioco strategico dallo stile visivo molto simile ai cartoni animati, con personaggi molto ben caratterizzati. Diversamente da altri giochi dello stesso genere, l’ambientazione è tutta realizzata in due dimensioni e il mondo scorre letteralmente lungo lo schermo televisivo. Le fazioni in guerra sono i Vichinghi, gli Aztechi e i Cinesi, un accostamento mai visto prima, dal momento che finora i giochi strategici hanno presentato o estremo realismo, riproducendo reali conflitti storici, oppure una fantasia sfrenata. Qui si raggiunge un compromesso: tre popolazioni conosciute, ma esageratamente caratterizzate (tipo i Galli e i Romani nei fumetti di Asterix), inserite in un ambiente del tutto fantastico. La gestione delle risorse, dei poteri e dei personaggi coinvolti è immediata, grazie alle icone poste in cima allo schermo che ben illustrano le varie funzioni. Il tutto permette di scatenare una vera apocalisse, ma senza mai creare confusione. Può sembrare difficile crederlo ma è così.
Questi sono solo alcuni esempi che riguardano la storia recente della creatività indipendente, ma se ne potrebbero proporre ancora tantissimi, forse di persone che stanno emergendo proprio in questo momento, chissà.
Magari possono diventare sviluppatori di giochi anche persone “normalissime” se hanno tra le mani lo strumento giusto. Un gioco che fa giochi è Wario Ware: Do It Yourself, letteralmente L’Azienda di Wario: Fallo Tu Stesso. La serie Wario Ware ha fatto dei microgiochi la sua fortuna. Una raccolta, finora, di brevissimi giochi demenziali, della durata di trenta secondi ciascuno. Cose come schiacciare una mosca con la paletta, aiutare una ragazza triste perché appena mollata dal ragazzo a soffiarsi il naso, impersonare uno gnomo che fugge da un piedone che cerca di calpestarlo e via di questo passo… La serie adesso si è rinnovata. Oltre ad offrire altri novanta microgiochi nuovi di zecca, Nintendo ha inserito anche un semplice programma che permette di gestire personaggi, comportamenti, grafica e creare musica da zero o partendo da una base “improvvisata al volo” dalla console. Si scopre così che non solo viene offerta la possibilità di costruire un giochino (sempre vincolato alla durata di trenta secondi) completamente da sé, ma si possono anche analizzare i giochi già presenti nella raccolta, imparando così i trucchi utilizzati dai Maestri di Nintendo.
Per ampliare l’apertura alla creatività comunitaria, si possono anche caricare in una speciale bacheca su internet le proprie creazioni e ricevere quelle di altri. Si possono trovare creazioni di persone comunissime affiancate a quelle di sviluppatori professionisti, alcuni di Nintendo e altri che hanno lavorato a titoli più “piccoli” ma non di qualità inferiore.
C’è dello yogurt fuori da frigo
Per l’occasione ho coniato questa nuova espressione, quella del gioco-yogurt.
Può sembrare certamente un’affermazione buffa, ma trovo che il termine si sposi alla perfezione con un genere che, soprattutto in questo periodo, si sta diffondendo e che sta producendo “gustosi” risultati.
Perché yogurt?
Concentriamoci sul gioco: è fresco, piccolo e gustosissimo.
Prendiamo come esempio LostWinds: la schermata iniziale è già un primo assaggio quando si inizia a giocherellare con l’ambiente ancora prima di puntare su “nuova partita”: puntando sullo schermo col telecomando Wii si controlla un piccolo cursore a forma di vortice stilizzato. Una volta iniziato il gioco si scoprirà che rappresenta uno spiritello in grado di evocare una brezza. Questo potere serve per far fluttuare letteralmente nell’aria il protagonista, ma può anche influire sugli oggetti e sull’ambiente in maniera tanto ovvia quanto straordinaria.
Tornando alla schermata iniziale: spostando il cursore da un lato all’altro dello schermo si noterà che il fogliame degli alberi viene scosso da una leggera brezza, mentre l’agitazione frenetica del controller provocherà una specie di tempesta, in grado addirittura di piegare gli arbusti.
Che la scelta di usare il vento come elemento trainante del gioco sia un modo per dire tra le righe: «Stiamo portando un po’ di aria fresca nel mondo dei videogiochi, ormai troppo legato alle sue tradizioni»? Forse è così, ma trovo che sia anche un ottimo nuovo metodo per controllare il morbidissimo protagonista e per utilizzare finalmente con una certa logica il sistema di puntamento del telecomando Wii. Infatti tracciando una linea sul personaggio comparirà una brezza capace di sollevarlo e fargli fare buona parte di tragitto senza costringerlo a camminare. Non si tratta semplicemente di un espediente per invogliare il ragazzino alla pigrizia, ma diventa utile per superare ostacoli che per la sua statura possono essere insormontabili, oppure si possono sfruttare questi poteri per intrappolare i nemici in un vortice e scagliarli lontano, o ancora è possibile bruciare delle vecchie radici che intralciano il passaggio semplicemente trasportando col vento la fiamma da una torcia poco distante. Sono tutti questi piccoli dettagli che rendono grande il gioco. Non possiede una profonda trama, non rappresenta battaglie epiche, non dura svariate ore, ma tutte le promesse sono state mantenute.
Presenta infatti degli enigmi intelligenti, anche se abbastanza semplici, un mondo molto piacevole da esplorare ed elementi grafici davvero deliziosi: sia le ambientazioni che le animazioni dei personaggi (soprattutto del protagonista) sono un vero piacere per la vista.
Ma la freschezza dei giochi-yogurt sta nell’immediatezza del loro utilizzo. Non solo ci si trova subito a proprio agio quando si avviano, ma è anche molto semplice ottenerli. Infatti grazie alle connessioni a internet sempre più veloci e le console sempre più ricche di funzionalità è una questione di pochissimi passaggi scaricare un software dalla rete, che sia un aggiornamento, un gioco o un programma per scattare ed elaborare fotografie. Di questi tempi l’espressione “scaricare” viene sempre a braccetto con “pirateria”. Questi giochi-yogurt sono piccoli tanto nella dimensione quanto nel prezzo. Abbattendo i costi di distribuzione (il dvd, la masterizzazione, la custodia, il libretto di istruzioni), il prezzo si abbassa drasticamente, rendendo il gioco scaricato più “prezioso” perché è facile poterselo permettere e quindi comprarlo. Risulta immediato anche l’ottenimento, visto che la rete internet è sempre disponibile e non c’è bisogno di prenotarlo in negozio perché le copie sono potenzialmente infinite. Ecco quindi che risulta particolarmente semplice spendere 2 euro e 35 centesimi per colorare una triste giornata piovosa, magari in vacanza, scaricando il divertentissimo Peggle sul proprio iPhone.