Una guida? No, non sono così autorevole, meglio chiamarla mini-guida.
Una mini-guida che permetta di mostrare cosa c’è oltre il videogioco.
Non a caso ho scelto di intitolare la tesi Over the Game, cioè al di sopra del gioco: cominciamo dove il gioco finisce (infatti la schermata conclusiva di molti giochi arcade riporta il famigerato Game Over), o meglio, dimostro come questi giochi elettronici siano molto di più che semplici giocattoli.
In questa tesi intendo dimostrare che i videogiochi non sono né brutti, né cattivi, ma nemmeno tanto buoni se vogliamo.
Non stringete tra le mani la verità, bensì solo tanti spunti di riflessione.
Ora, dopo aver appurato cosa non si troverà tra queste pagine, vediamo di capire cosa mi ha spinto ad affrontare un tema così chiacchierato e altrettanto sottovalutato, partendo dalle domande che mi sono state poste più spesso.
Perché hai scelto di fare una tesi sui videogiochi?
La risposta è sempre la stessa: l’interesse verso la coesione fra più media, detta anche transmedialità, ha sempre esercitato un certo fascino su di me.
L’idea di poter apprezzare una storia grandiosa e impegnativa come può essere quella di Star Wars su grande schermo e successivamente trovare particolari, curiosità, storie parallele leggendo romanzi o vivendo un’avventura elettronica mi stimola a cercare e capire.
Con i videogiochi avviene spesso questo tipo di comunicazione, anche se i risultati più strabilianti si hanno quando la presenza di queste citazioni resta più nascosta tra le righe anziché mostrata direttamente all’utente. Tutto questo riguarda l’aspetto comunicativo e più ricercato a livello di intrattenimento/svago.
Mentre per superare il livello, per andare oltre al gioco, mi soffermo sui titoli più curiosi, quelli che dopo una partita ti lasciano quel certo nonsoché, quella cosa che può essere definita più esperienza che semplice svago.
Come è nato questo interesse?
Il mio primo contatto con i videogiochi è avvenuto in epoca scuole medie, ereditando da una signora con i figli troppo cresciuti un vecchio Atari XE, passando una minima parte del mio tempo libero con titoli come Karateka, Moon Patrol, Blue Max e Rescue on Fractalus!.
Ma l’interesse vero per i videogiochi, andando oltre al puro passatempo, si è sviluppato nei primi tempi delle scuole superiori (dove studiavo grafica pubblicitaria) grazie al più atipico dei giochi di ruolo: Pokémon.
Da lì, e dal suo libretto di istruzioni, ho cominciato a prestare attenzione, per curiosità, all’integrazione della grafica nell’intrattenimento e nella comunicazione digitale.
Ma alla fine, cosa sostieni?
Vorrei riuscire a dimostrare che i videogiochi non si limitano al semplice intrattenimento elettronico, ma offrono spunti di livello culturale ed educativo. Porterò alcuni esempi in cui bastano un paio di colori e nomi azzeccati per i livelli che riescono raccontare una storia come molti titoli non sanno fare in trenta ore di gioco, inoltre porterò tanto la mia esperienza quanto i pensieri di altre persone più ferrate nel campo educativo per esprimere il bisogno dell’essere umano di crescere attraverso il gioco, perché ludus significa sì giocare, ma anche imparare.
Un aspetto spesso sottovalutato, o valutato in maniera sbagliata, è quello dell’immedesimazione. Ci sono giochi che permettono di vivere una vera e propria esperienza. Non nel senso di eseguire realmente quello che avviene su schermo, ma l’offerta di un coinvolgimento attraverso più di un senso, quello che definisco Sinestesia Digitale, che offre momenti stimolanti da ricordare con piacere.
Questi sono i punti fondamentali, ma esprimerò opinioni anche sul buon design e sulla grafica, in particolare quella che contraddistingue Nintendo.
Attenzione però, io qui mi occupo esclusivamente degli aspetti comunicativi, quindi tutte le ragioni economiche o politiche (sì, anche quelle) che hanno portato le varie aziende a fare questa o quella scelta non verranno prese direttamente in considerazione perché non è questo l’argomento della tesi.
In fondo, i videogiochi offrono questa possibilità di fare qualcosa che nella realtà non è possibile, per alcuni si tratta di un piccolo mondo dove i “grandi” non possono entrare, quindi manterrò questo tono forse a volte un po’ utopistico, ma carico di entusiasmo.
Ma che pacchia! Studi e nel frattempo giochi.
Non è esattamente come si potrebbe fare con i film o i libri. Infatti uno studente di lettere potrebbe impiegare anni a leggere tutto ciò che è necessario per conoscere un determinato autore: dalla biografia alle poesie ai romanzi alle epistole. Stessa cosa per chi studia il cinema: film, cortometraggi, interviste. Queste due forme di espressione hanno in comune una cosa: hanno un inizio e una fine ben precisi. Certo, possono essere legati ad altre opere formando una sorta di ipertesto, ma sta di fatto che si ha sempre ben chiaro da dove si è partiti, dove si è e dove si deve arrivare.
Chi studia videogiochi invece non ha la strada così “spianata”, infatti ci vuole sempre una certa dose di abilità nel fruire un videogioco. Si sa quando lo si inizia, ma mai si saprà con precisione quando e se lo si terminerà, e soprattutto se lo si terminerà completamente o parzialmente. é la natura stessa del medium che comporta questo tipo di incertezza. Mi sono trovato personalmente certe volte a pensare: «Adesso termino in fretta questa partita, perché poi devo studiare.» Ma cosa studio se non gioco? Come faccio a comprendere con precisione alcune scelte stilistiche solo leggendole da recensioni o saggi senza provarle in prima persona? Magari giocando a certi titoli poi si possono anche sviluppare certe abilità. Per esempio da quando ho iniziato a passare sempre più tempo con Tetris, riesco a riempire con più ordine le valigie.
Scherzi a parte (ma le valigie le so davvero riempire meglio), forse non ci si rende ancora conto con precisione delle potenzialità dei videogiochi. La prima è sicuramente l’intrattenimento, e su quello non ci piove, ma certamente sanno offrire anche spunti culturali e artistici. Sono paroloni un po’ generici che alle volte vengono usati per dare alle cose un’importanza che non hanno, il classico tutto fumo e niente arrosto, ma qui cercherò di portare argomentazioni valide per sostenere questa tesi.