Muses: Ispirato

Francesco Falconi, un bravo autore italiano, ha pensato bene di coinvolgere i lettori del suo ultimo romanzo Muses chiedendo loro di scrivere un racconto breve, di appena 5000 battute, per un concorso chiamato NetFace, che ha raccolto parecchi partecipanti entusiasti di mettersi alla prova.
Il popolo di facebook si è mobilitato sia a scrivere che ad apprezzare (sotto con i likee!! cit. Alice de Angelis) e in poco tempo si è creato un bel gruppo di scrittori e appassionati che si sostengono e confrontano.
Ora, il concorso non l’ho vinto, ma sono strafelice per due cose:
  1. il mio amico (‘mbare) Aaron ed io siamo comunque rimasti tra i 10 finalisti in corsa per il premio, e se consideriamo la giuria, composta da persone che lavorano per Mondadori, tra cui lo stesso Falconi, non posso che essere soddisfattissimo del risultato.
  2. il vincitore Danilo Campitelli, con il suo Oblio su Tela (solo il titolo mostra genialità) si è veramente meritatato la pubblicazione su Muses 2. Nessun rancore, anzi, tanta stima.
 Non è fondamentale aver letto Muses per comprenderlo, ma qualche riferimento all’opera originale può essere apprezzata.
Ho provato a sviluppare la storia da un altro punto di vista che è stato poco affrontato nel libro. Lì le muse utilizzano il loro potere più per convincere o controllare le persone intorno a loro, talvolta anche per combattere. Qui ho voluto approfondire l’aspetto più importante di una musa, quello per il quale le conosciamo: l’ispirazione che sanno suscitare.

Ispirato

Maurizio Carnago

Quella sera, come altre centinaia di volte, osservava pensoso la città di Roma scorrere velocemente attraverso i finestrini del pullman.

Era una normalissima tratta urbana, e lui sedeva in fondo al bus, ancora ignaro che quello sarebbe stato uno dei viaggi più importanti della sua vita.

Tra il caldo soffocante e la corsa a perdifiato fino alla fermata per prendere quell’autobus, che non sarebbe ripassato prima di un’ora, il viaggio su quella ferraglia su ruote si prospettava opprimente.

Tutto ordinario insomma, fino a quando non salì a bordo quella strana ragazza: un’ombra sottile, avvolta in abiti scuri e con il capo circondato da un’aureola di cortissimi capelli tanto biondi da sembrare bianchi. Si liberò del giubbotto di pelle, restando in canottiera, nera come il trucco sul suo viso e come il resto dell’abbigliamento, sfoggiando quasi in tono di sfida tutta una serie di tatuaggi. Era la tipica figura da evitare secondo l’etichetta comune, e gli sguardi disgustati di alcuni passeggeri ne confermarono la teoria.

La ragazza attraversò quasi tutto il pullman, giungendo alle file in fondo e si fermò a due passi dal giovane. Nulla di strano, finché non fece una semplice domanda ad una donna che aveva “casualmente” occupato il posto di fianco a sé con la propria voluminosa borsa.

Lui non sentì di preciso cosa avesse chiesto, ma certamente nulla di volgare – era ovvio che avesse domandato se poteva sedersi lì – ma la donna sembrò improvvisamente offesa e contrariata.

Non avendo mai considerato un reato grave indossare abiti stravaganti, il ragazzo fece cenno alla fanciulla in nero per offrirle posto accanto a lui. Fu la sua voce forse, ma qualcosa gli suggerì che lei avesse bisogno di aiuto. Ne aveva un disperato bisogno.

La signora, visibilmente turbata da quell’aspetto così lontano dal buon costume, lasciò liberi entrambi i posti, recuperando in fretta la borsa e arrabattandosi per uscire dalla postazione, borbottando. La ragazza si sedette bruscamente, ignorando il suo invito ad avvicinarsi, probabilmente assordata dai propri pensieri.

Lui non sapeva spiegare bene perché, ma uno strano sentimento cupo lo investì, anche se non riuscì a capirlo immediatamente. Solo ripensandoci più avanti comprese che si trattava di delusione. Uno strano tipo di delusione, perché lei non lo aveva proprio visto, e non conoscendola affatto non poteva certo rimanerci male, eppure parve un’occasione tristemente sprecata. Cosa avesse sprecato non seppe dirlo con certezza, ma questa sensazione lo lasciò con l’amaro in bocca.

Fu altro però ad assordarlo nel breve tragitto, qualcosa che sembrava non turbare tutti gli altri passeggeri. Una sorta di melodia, appena sotto la soglia della percezione, aleggiava intorno a lui. Era un qualcosa di potente, ma allo stesso tempo profondamente malinconica. Cominciò a preoccuparsi, forse a causa dello stress per i giorni intensi che lo aspettavano, forse per le poche ore ultimamente concesse al sonno, però si sentiva come nel film biografico di Mozart, dove il protagonista era talmente concentrato nel suo lavoro di composizione da creare un’orchestra nella propria testa, udibile solamente a lui.

La melodia che il giovane percepiva era come un’opera realizzata da un’orchestra imponente che, se non fosse partito per la tangente preoccupandosi per la propria salute mentale e avesse invece tenuto d’occhio la ragazza, si sarebbe accorto che la sua respirazione andava a tempo con la strana musica.

Era inebriante, non aveva mai udito e provato nulla di simile, ma era anche spaventoso. Si stava lasciando quasi travolgere, sempre profondamente preoccupato perché nessun altro sembrava sentirla e non era in grado di scorgere un altoparlante dal quale poteva scaturire, quando eccola! La sua fermata! Per poco non la perdeva.

Premette velocemente il pulsante e quel « dling » così acuto si unì alla melodia, strappandogli un mezzo sorriso.  Si precipitò lungo il corridoio, facendo svolazzare il giubbotto dietro di sé, che evidentemente doveva aver colpito la ragazza. Nella foga di scendere dalla vettura non prestò attenzione, ma gli parve proprio di essere appena stato mandato a quel paese in modo molto colorito.

Quando le porte si chiusero e il pullman diede gas per la partenza, restò ancora un momento fermo sul marciapiede. La melodia gradualmente si stava affievolendo, arrestandosi del tutto quando il mezzo ripartì.

Osservò il volto triste e pensieroso della ragazza attraverso il finestrino mentre il bus riprendeva la marcia, convinto di aver abbandonato un angelo.

In effetti, se fosse stato un carabiniere, avrebbe potuto chiederle i documenti, apprendere che il suo nome era Alice De Angelis e scoprire di non esserci andato poi troppo lontano.

Invece era solo un giovane aspirante musicista, stressato per la preparazione agli esami in conservatorio, ma in quel momento improvvisamente fiducioso che l’imminente sessione di esami sarebbe stata un gran successo. Anzi, un capolavoro.