Adattamento o ispirazione?

Jordan Mechner, in un articolo pubblicato su Game Informer, solleva la questione della confusione generata da ciò che è “tratto da”:

Videogiochi tratti da film, film tratti da fumetti, fumetti tratti da videogiochi – in questi giorni, se un titolo è acclamato in un medium, sarà certamente adattato in un altro.

Troppo vero, se prendiamo come esempio la serie di Halo, attuale fenomeno di casa Microsoft. Nel momento in cui sto scrivendo sono stati pubblicati tre episodi della serie regolare, accompagnati da uno strategico in tempo reale ambientato nell’universo di Halo e uno spin-off del terzo episodio. Inoltre sarà presto disponibile un nuovo episodio che andrà a posizionarsi come prequel del primo. Nel campo editoriale è stata pubblicata una collana di romanzi che ampliano e approfondiscono molti particolari della storia, poi un vero e proprio atlante illustrato, come l’atlante d’Italia o d’Europa, ma dedicato all’universo creato da Bungie, che permette di sviscerarne a fondo tutti gli aspetti. Ho avuto occasione di vederlo e per un appassionato/collezionista/esteta del videogioco è davvero un’opera completa e interessante. Per terminare con una raccolta di episodi animati distribuiti attraverso vari canali dell’intrattenimento video.

Tornando all’affermazione di Mechner, egli dice che il motivo di tutti questi rimandi tra medium è, ovviamente, il denaro. Questo è più che certo, ma probabilmente la passione per la propria “creatura”, accompagnata da una solida base economica e da una nutrita schiera di fan, può in qualche modo influenzare il desiderio di ampliare il mondo creato. Posso capirli molto bene. Personalmente non trovo Halo così sensazionale, anche se ho giocato gli episodi con piacere.

Dove si colloca Halo nel genere fantascientifico tradizionale? Si trova tra il fantascientifico e la space opera. Ha un meraviglioso senso drammatico. I suoi umani, spalle al muro che lottano per le loro vite.

“Quello che è cominciato come un videogame è cresciuto fino a diventare un immenso, multi-stratificato sci-fi epic completo di libri, fumetti e film. Una saga ideata meticolosamente, caratterizzata da personaggi avvincenti, trame trascinanti e mondi di culture riccamente descritti.
Halo il gioco comincia più di 500 anni nel futuro, gli umani hanno scoperto come viaggiare più veloci della luce e stanno colonizzando la Via Lattea. Nel frattempo incontrano un’alleanza di alieni ostili detti Covenant. Motivati dalla promessa di un paradiso eterno, i Covenant considerano gli umani come un affronto ai loro dei e hanno giurato di eliminarli.
Protagonista della storia è un soldato parte di un elite di combattenti dalle risorse superiori all’esercito normale che si imbatte in un Halo. Questo Halo è una reliquia di una razza tecnologicamente avanzata che scomparve misteriosamente centomila anni fa.”

Buona parte di quanto descritto si scopre solamente durante le fasi avanzate del gioco, e non è altro che l’introduzione. Possiamo definirlo la “rampa di lancio”, per catapultare il giocatore in un universo immenso. Interessante perché dalla storia di queste razze: Umani, Covenant e Precursori, oltre ad altre che si conoscono man mano, unite tutte dagli Halo, si vengono a scoprire lentamente molti aspetti che ampliano la trama e l’universo di gioco, rendendolo convincente. Uno degli imperativi di game design stabiliti da Fumito Ueda infatti è non realistic reality: creare un mondo verosimile nella sua inverosimiglianza.

Halo Legends é una raccolta di corti in stile Anime.

L’anime ricopre un’ampia gamma, dai cartoni per bambini come Pokémon e Dragon Ball, fino a cose più impegnative come Akira e Ghost in the Shell. Il medium e la forma d’arte stessa ricopre una più ampia gamma di argomenti rispetto a quello che chiameremmo cartone in occidente. Quindi, in realtà, è veramente un medium appropriato per sperimentare una serie molto matura come Halo.

Joseph Chou, produttore di J-Spec Pictures in Halo Legends

Storie più piccole e discrete, piccoli pacchetti di drammi basati sull’universo di Halo. Volevamo esplorare vari stili artistici. Uno dei vantaggi è che si pensava che il senso giapponese della narrazione e del racconto potesse dare all’universo di Halo un ritmo e una prospettiva un po’ diversi. Ci hanno chiesto come mai non abbiamo scelto un genere di animazione più tradizionale o un film live-action. Francamente, molti di noi sono fan dell’anime quindi è stata una scelta facilissima.

Frank O’Connor, Direttore sviluppo franchise in Halo Legends

Pare che sia sempre più importante approfondire il mondo di gioco attraverso i romanzi. Un medium di narrazione pura, l’esatto opposto dell’azione su schermo. I motivi possono essere principalmente legati alla trama, che nei giochi generalmente risulta solo abbozzata in favore dell’azione. Ma talvolta le storie presenti nei videogiochi hanno delle potenzialità così grandi da risultare “sprecate”. Come ho già detto nella prefazione, non si può sapere fino a che punto un giocatore si addentrerà nella storia perché vengono offerte così tante possibilità e così tante scelte che non sempre risulta possibile esplorare tutto l’ambiente virtuale. Questo discorso vale principalmente per giochi di ruolo e d’avventura, dove l’esplorazione e la narrazione hanno molta importanza. Ricordo inoltre che ci vuole abilità e pazienza per completare un gioco, perciò chi è sprovvisto di tali qualità – o anche di tempo – potrebbe trovare interessante l’idea di esplorare i luoghi “mancati” attraverso un romanzo, che si svolge sotto la guida dell’autore. Non sempre però viene seguito pienamente il percorso del gioco; talvolta il medium cartaceo potrebbe offrire diversi punti di vista come dare il ruolo di protagonista ad un personaggio secondario, approfondire una storia passata che nel gioco viene solamente accennata o esplorare un ambiente tutto nuovo. Potrebbe servire come “allenamento” prima di prendere in mano il gioco per farsi un’idea di quello che ci si deve aspettare oppure può essere un modo meno “faticoso” per rivivere nuovamente una bella avventura.

La capacità di immaginazione del lettore viene sfruttata fino in fondo dal romanzo, ma questo non è l’unico modo per vivere un’esperienza da accompagnare al videogioco. Film e fumetti vengono incontro al fruitore, proponendogli le fattezze dei personaggi e le ambientazioni sottoforma di immagine. L’obiettivo della narrazione non è diverso da quello del romanzo.

Un ulteriore sistema di contatto con un videogioco senza il “bisogno di giocarlo” è quello del machinima, una pratica che con la rete di internet sempre più veloce sta prendendo molto piede.

Cominciamo dalle basi: un machinima non è altro che la registrazione, per svariate ragioni, di una sessione di gioco. Le ragioni possono essere una vanteria con gli amici degli ottimi punteggi ottenuti, oppure a scopo educativo (che gesto nobile) ovvero permettere ad altri giocatori di scoprire alcune aree segrete o insegnare ai novellini certi trucchetti da maestro.

Con la potenza delle nuove console e dei computer adesso un gioco riesce ad apparire molto simile ad un film, tanto che a prima vista una sessione di gioco può realmente assomigliare ad una pellicola proiettata al cinema. Un cortometraggio per presentare Red Dead Redemption è stato realizzato appositamente sfruttando il motore grafico del videogioco combinato alla tecnica del machinima.

Henry Lowood parla della “cultura del replay” come uso creativo del videogame: filmati di natura videoludica utilizzati “a scopo dimostrativo, pedagogico ed artistico. Tale cultura definisce un giocatore-spettatore, che consuma il testo in modo assai differente rispetto a quello previsto dai progettisti.” Ricorda che prima di tutto il giocatore è uno spettatore, ma diversamente da chi assiste alla proiezione di un film, il giocatore contribuisce a creare lo spettacolo in tempo reale.

Bene, io definisco machinima spettacolarizzati quei film tratti dai videogiochi. In pratica riproporre l’essenza del videogioco per permettere ai fan di rivivere certe scene senza il bisogno di dover riprendere il gioco daccapo, con l’aggiunta della spettacolarità hollywoodiana.


Giochi privi di qualsiasi idea originale in termini di storia come Doom (Un esperimento fallito ha aperto un varco dimensionale da cui fuoriescono delle creature demoniache. Sei un soldato armato fino ai denti: devi sterminare tutti i mostri. Fine) diventano a questo punto dei film composti da lunghissime sessioni di sparatoria di cui una scena addirittura girata in piano sequenza: proprio come se fosse il pubblico ad aggirarsi nella base spaziale armato di tutto punto, con battute che possono cogliere solo i fan del gioco o gli spettatori più acuti.

Dove il punto forte del gioco è proprio la tensione scaturita da ambienti lugubri e poco illuminati, con mostri che possono sbucare da tutte le parti all’improvviso e una musica d’atmosfera può sembrare facile realizzarne un film, visto che gli ingredienti ci sono tutti. Peccato che in realtà sia tutto un filtro del filtro.
Doom videogioco prende alcuni spunti dal cinema, in particolare Aliens di James Cameron e lo trasforma in azione pura. Poi torna di nuovo al cinema, che ricicla gli stessi punti e cerca di aggiungere una storia traballante. In pratica è la fotocopia della fotocopia.

Matteo Bittanti fa notare che in Aliens i marines armati fino ai denti portano una telecamera fissata al casco. Questa permette al comandante delle operazioni di vedere attraverso una serie di monitor precisamente quello che stanno guardando i soldati, permettendogli di studiare rapidamente una strategia. Il videogiocatore non si trova nella stessa posizione di quel comandante? Assiste alla scena da spettatore, ma allo stesso tempo ne è il regista.

Ormai è prassi comune che i due medium si scambino a vicenda tecniche di rappresentazione, ma non è affatto un male questo, perché la spettacolarità è sempre valida, il pubblico è sempre lo stesso. C’è da differenziare però l’utilizzo di certe tecniche, che sia giustificato da cosa si desidera mostrare su schermo.

Mi spiego meglio: se in un gioco d’azione desidero proiettare il giocatore nel vivo della vicenda, con il protagonista che sta fuggendo da un palazzo in fiamme con le macerie carbonizzate che crollano dappertutto, utilizzerò prima di tutto un tema musicale adeguato, frenetico, e poi cercherei di guidarlo indirettamente verso l’uscita ma senza mai privarlo del controllo sul personaggio, come avviene in moltissime sequenze di Half-Life 2. Ci sono casi invece in cui l’azione viene bruscamente interrotta per mostrare un filmato – per carità, stupendo – dallo stile cinematografico ma impossibile da controllare. Cosa prenderei dunque da Hollywood? Un particolare taglio di inquadratura, o una camera virtuale traballante alle spalle del protagonista, come se un reporter fosse alle sue calcagna, o ancora dei rallentamenti per evitare gli ostacoli chiamati bullet-time generalmente usati nelle sparatorie e ispirati da registi come John Woo.

Al contrario, cosa si può sfruttare di buono da un videogioco per un film? Forse si potrebbero inquadrare gli oggetti che precipitano in dettaglio, simulando l’attenzione che il videogiocatore pone con lo sguardo ad ogni elemento in movimento, oppure fare un saggio uso di visuale in soggettiva e dei colori per evidenziare determinati particolari.

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